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“Fuggi da Foggia”, perché tale appellativo

Purtroppo esistono delle espressioni dialettali che sono e restano dei marchi d’infamia, e il termine fuggi riferito a Foggia è proprio uno di questi.

Fuggi da Foggia non rappresenta un proverbio quindi ma piuttosto una macchia negativa che mira a bollare in maniera impietosa il capoluogo dauno. Va compreso il modo in cui nasce e si sviluppa tale appellativo che rappresenta un onta per i foggiani. La risposta a tale quesito viene fornita da un manoscritto pubblicato nel 1987 dalla rivista della Bibloteca Provinciale di Foggia dal titolo: La Capitanata, e tale saggio porta la firma di Antonio Ventura, saggista e cultore di storia locale che per diversi anni prima di andare in pensione, ha diretto con grande competenza e passione la sezione dei fondi speciali della Biblioteca, ed è tale sezione a custodire i materiali storici e documentari che hanno un interesse provinciale.
Il saggio recava il seguente titolo: Fuggi da Foggia! La città vista dagli altri, nel Settecento e nell’Ottocento. Ventura avanzò quindi una ipotesi circa la nascita e la relativa origine del modo di dire, la sua teoria consisteva nel pensare che a coniarlo potrebbe essere stato uno dei viaggiatori che tra il ‘700 e l’ ‘800 visitarono la città, e che si prese la licenza poetica di denigrarne gli abitanti.

Ma chi può aver creato tale maldicenza?

Si pensa sia stato un religioso di nome Francesco Longano, originario del Molise teologo, filosofo ed economista, che visse nel Settecento, e venne ricordato per le sue idee illuministe, avendo svariati problemi con le autorità religiose dell’epoca. La quarta di copertina del volume Viaggi per lo Regno di Napoli che contiene anche il Viaggio per la Capitanata a cui fa riferimento Ventura nella sua analisi e ipotesi, Francesco Longano apre una riflessione sulla condizione umana e da questa prende spunto per la sua personale analisi. Nei Viaggi per lo Contado di Molise e per la Capitanata, fatti tra il 1786 e il 1790, come osservatore politico acuto qual’era, va a segnalare uno stato di abbandono, di miseria e di sottosviluppo delle aree visitate tra cui appunto anche la Capitanata, in generale lui osservò il Mezzogiorno d’Italia e si concentrò su ciò che aveva portato a quello stato di cose evidenziato. A conseguenza di questa analisi il religioso progressista, fornì al sovrano una serie di spunti utili ad organizzare la sua azione di governo.

Quindi si tratta di infamità fine a se stesse o – in una versione alternativa – di una critica solo apparentemente buttata lì a caso?

Questo saggio riguarda in maniera critica quanto hanno scritto di Foggia i diversi reporter che vi hanno soggiornato e trascorso del tempo viaggiando nel corso di due secoli. Ovviamente questa fornita è una tipologia di lettura estremamente utile anche per coloro che la vivono oggi la Capitanata e la sua capitale e non sanno se rimanervi o andar via da essa. D’altra parte la storia aiuta da sempre anche in tali scelte e/o momenti nei quali si cercano soluzioni per la vita ordinaria.

Cosa avvenne nella vita del Longano

Longano nel corso del XVIII secolo, quindi percorse in lungo e in largo la Capitanata per studio sopratutto ma anche per diporto e, svariate volte, si fermò per delle soste a Foggia, scrivendovi poi delle esperienza che segnarono certamente la sua intera vita per sempre.

Lui di fatto scrisse una guida del Mezzogiorno per l’epoca in cui alla voce Foggia non riportava che demeriti visti gli innumerevoli disagi ed i pericoli nella città che furono vissuti da questo illustre visitatore. Per citarne alcuni:

  1. aria mefitica,
  2. sporcizia dilagante,
  3. locande scomode e poco ospitali
  4. caldo che non si sopportava,
  5. fetori,
  6. zanzare e altri innumerevoli insetti,

Alternativamente a ciò, ulteriori disagi legati ad un altra stagione:

  1. estremo freddo,
  2. un intensa umidità,
  3. febbre terzana.

In tutto questo la cosa su cui maggiormente questo religioso metteva in guardia era quella che considerava un indole perversa degli abitanti del capoluogo Dauno.

Tra femminile e maschile cambiavano gli atteggiamenti e le pulsioni-azioni:

Gli uomini li vedeva e considerava svogliati ed insolenti, violenti e consumati da quelle che definiva insane passioni, ad esempio per il vino, o per il gioco d’azzardo e il furto

Mentre le donne venivano definite nel suo saggio come: focose, ladre e inclini alla lascivia godereccia. Insomma un quadro davvero disarmante e che aggiunge – a quest’ultimo punto evidenziato – una ciliegina su questa torta mefitica, quasi a voler perfezionare il piglio con cui le definizioni sopra riportate venivano enfatizzate, l’Abate racconta, attraverso dettagli piccanti, l’esperienza di un suo pellegrinaggio, avvenuto l’ultima domenica di aprile, all’Incoronata, dove aveva visto come la popolazione femminile foggiana, si dedicasse al soddisfacimento di ogni appetito fino al ritorno in città che, disse aveva somiglianza con l’incedere delle baccanti più che al passo delle devote cristiane.

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