Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi: questo recita l’articolo 29 della Costituzione Italiana. In questo articolo si sottolinea la sostanziale uguaglianza dell’uomo e della donna all’interno dell’unione matrimoniale. Purtroppo, sempre più frequentemente, assistiamo ad una drammatica violazione di questo articolo così importante e la cosa ancor più grave, a mio avviso, è che tantissime violenze all’interno delle coppie restano, per svariati motivi, sconosciute alle autorità giudiziarie.
A tutte le coppie capita spesso di litigare temporaneamente, ma dopo un po’ la situazione rientra nella normalità, senza aver fatto danni né psicologici né fisici a nessun coniuge. Lì dove l’aggressione è solo un fenomeno temporaneo e, nonostante il forte conflitto, la relazione conserva parità e simmetria tra i due partner, non si può parlare certamente di violenza o abuso. In questi casi infatti viene mantenuta l’identità di ognuno e l’altro viene rispettato come persona. A volte discutere, anzi, può aiutare a riconoscere l’altro, a tenere conto dei bisogni di ciascuno e quindi a migliorare la relazione di coppia.
Lo scenario cambia quando le offese, le reazioni fisicamente violente, diventano un vero e proprio modello di rapporto all’interno del quale vige l’asimmetria tra i coniugi. L’abuso, infatti, si distingue dal semplice conflitto, proprio perché non è uno scontro tra pari (generalmente è l’uomo che abusa della “sua” donna).
La violenza all’interno di una relazione di coppia può essere esercitata attraverso aggressioni fisiche o abusi psicologici, controlli ossessivi o imposizione di atti sessuali non graditi, isolamento o limitazioni della libertà personale o dell’autonomia economica.
Ma che cosa spinge una donna ad accettare umiliazioni e violenze e a non denunciare?
Per le vittime si tratta di un malessere difficile da denunciare perché a livello psicologico è complesso da capire ed accettare: l’uomo che dovrebbe darmi affetto e protezione mi procura, invece, dolore. Così succede che queste donne restano anni ed anni (se non per tutta la vita) accanto a uomini che le svalutano e le consumano psicologicamente giorno dopo giorno. Il problema è che, con il passare del tempo, le vittime incominciano ad abituarsi a queste modalità relazionali perverse ed iniziano, paradossalmente, a credere di essere loro quelle sbagliate.
I maltrattanti, d’altro canto, mantengono in piedi una relazione con una moglie di cui si lamentano in continuazione perché hanno un forte bisogno patologico di affermare il proprio potere. Nella maggior parte dei casi, gli abusanti sono cresciuti in famiglie in cui il comportamento violento era la norma. Per il loro cervello quindi diventa difficile distinguere un comportamento sbagliato da uno giusto. Inutile sottolineare i gravissimi danni psicologici che vengono inferti anche ai figli di queste coppie malsane.
Che fare allora?
Le donne maltrattate DEVONO ribellarsi. Nei “Centri antiviolenza” vengono offerti spazi di ascolto, condivisione e sostegno e possono rappresentare un aiuto pratico per iniziare a ricostruire una vita più dignitosa.
Per quanto riguarda gli uomini violenti, il loro recupero, sinceramente, è davvero molto difficile in quanto non riconoscono di avere un problema.