Ogni giorno la cronaca nera ci riporta (sempre di più, ahimè) drammatiche storie di omicidi, spesso, commessi da persone insospettabili. Alcune domande che forse tutti ci poniamo sono: ma chi è realmente un serial killer? Cosa scatta nella mente di una persona, tanto da portarla a commettere un delitto?
La scienza afferma che esistono forti correlazioni tra determinati disturbi psicologici (tipici dei serial killer) e i traumi infantili, in particolare gli abusi sessuali. Esaminando la casistica internazionale degli omicidi, infatti, si nota che la maggior parte degli assassini seriali rientra in uno dei seguenti quadri familiari:
a) figlio illegittimo;
b) orfano di uno o di entrambi i genitori oppure abbandoni protratti nel tempo;
c) figlio di un genitore abusivo, di solito il padre, mentre l’altro è remissivo, spesso la madre, ma è anche possibile il quadro opposto;
d) infanzia caratterizzata da violenze fisiche, psicologiche e/o sessuali, perpetrate da uno o da entrambi i genitori.
È stata coniata la cosiddetta “Sindrome del bambino maltrattato” proprio per spiegare in che modo i maltrattamenti subìti nell’infanzia, portino a sviluppare, nella mente del futuro adulto, una sorta di “dipendenza dal male”.
Sono stati evidenziati due fattori specifici che rendono i maltrattamenti così potenti tanto da modificare il funzionamento del cervello del bambino e a portarlo a diventare un serial killer: un forte legame tra abusante e abusato (genitori e familiari in genere) e la confusione tra ciò che è bene e ciò che è male. Con questi due ingredienti devastanti il bambino incomincia a sperimentare la costante sensazione di essere diverso dagli altri, marchiato e disprezzato. È allora che il bambino (a causa del trauma subìto) inizia a ritirarsi socialmente e a vivere in un mondo parallelo fatto esclusivamente di emozioni negative quali la vergogna, la colpa (paradossalmente il bambino si attribuisce la colpa, come se meritasse quei maltrattamenti, è lui quello sbagliato), la rabbia, l’angoscia, la paura, la solitudine, che gli impediscono di chiedere aiuto.
Tale sintomatologia, protratta nel tempo, porta in età adulta allo sviluppo di una personalità disturbata, tipicamente ad un “Disturbo borderline di personalità”. I tratti caratteristici di tale disturbo sono la scarsa capacità di gestione della rabbia, relazioni interpersonali caotiche contrassegnate da una forte paura dell’abbandono, labilità e disgregolazione affettiva, forte impulsività, sbalzi di umore (tristezza, ansia, rabbia), aggressività verbale e fisica agita su se stessi e su gli altri.
Per chi ha avuto un’infanzia caratterizzata da abusi, maltrattamenti, abbandoni ripetuti e protratti nel tempo, arriva il giorno della rivalsa, del riscatto. L’omicidio ha proprio questa funzione nella mente del serial killer in quanto gli permette di sperimentare una forte e “piacevole” sensazione di potere che annulla momentaneamente tutta la sofferenza psicologica portata dentro da anni (brutti ricordi, emozioni negative, bassa autostima, inadeguatezza, sottomissione, ecc…). Quella sensazione “piacevole” funziona da rinforzo nel cervello dell’assassino che sarà portato a volerla riprovare ancora… diventando così un killer seriale.